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stată rivelata esclusivamente, ed în maniera irripetibile, da Gesù stesso, perché "vero Dio e vero uomo"24, volto umano e visibile dell'invisibilità di Dio.Proprio în questo senso Dio è esperienza di tempo, tempo che și rivela, a sua volta, "indeterminabile presente", perché Vită in-sé senza inizio, e per-sé senza fine. Eppure quell'imprescindibile consistenza e persistenza che profila l'esperienza umană quale indissolubile legame con Dio perché Cristo, quindi Dio în Cristo poiché connaturato vincolo tra Dio e l
[Corola-publishinghouse/Science/84976_a_85761]
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completă continuamente la nostră esistenza nell'esperienza del suo amore rivelato în Cristo universalmente e donato da Cristo antropologicamente; e Dio dona îl suo amore per l'uomo nell' essere di Cristo în quanto Figlio del Padre e a sua volta indeterminabile presente nella vită dell'uomo e nella storia del mondo. Și deduce da tale acquisizione quell'indefettibile vincolo d'amore perpetuo di Dio per l'uomo, realisticamente possibile solo în Cristo, perché antropologicamente perfetto, misticamente vivo, umanamente reale nell
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inerente al mutamento dell'ente-mondo nel tempo e delle sue proporzioni nello spazio; tuttavia la perfezione del tempo quale misura del movimento non esclude l'inalterabilità del mondo, anzi ne individua esattamente nel moto la possibilità del mutamento a sua volta infinito, infinito che în sé non è perfetto rispetto al concetto di eterno, inalterabilità della potenza e dell'atto, congiunzione dell'essere poiché divenire continuo. Proprio secondo questa prospettiva Aristotele non mancherà di cogliere în seguito ne Îl cielo, perfezionando
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di là eterno e privo di corpo. Parallelamente îl corpo dell' uomo lega ogni suo attaccamento terreno alla speranza di elevarlo a dignità di un mistero sovrannaturale, che congiungerebbe la propria anima al senso del Verbo îl quale a sua volta avvolge ogni singolo atto umano. Così ogni tratto della formă del mondo è movimento e misura del tempo che ravvolge îl Creațo, perché l'uomo ne sia partecipe come dimensione di colui-creato, come acqua che sgorga dalla fonte di Cristo
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nell'accezione greca di κόσμος, cioè ordine), quel tempo che specifică circostanze ristrette della stessa formă continuă e della forza storica e fisica del mondo. Per tale ragione l'attenzione è stată soprattutto poi rivolta a una meditazione generale sul volto dell' eterno che și configura în Cristo: è infatti proprio tale accezione di tempo continuo che scandisce l'avvenire molteplice del mondo e îl divenire suo variabile, denotando lo sviluppo della formă, perenne nella continuità del fenomeno che ravvolge ogni
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18-28. 24 "Cristo infatti non è entrato în un santuario fatto da mani d'uomo, figură di quello vero, mă nel cielo stesso, per comparire oră al cospetto di Dio în nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come îl sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui.In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Oră invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare îl
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stesso, per comparire oră al cospetto di Dio în nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come îl sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui.In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Oră invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare îl peccato mediante îl sacrificio di se stesso", Eb, 9, 24-26. Imprescindibile ritengo qui l'ascolto di La Sindone (2006), specialmente quel che
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în nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come îl sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui.In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Oră invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare îl peccato mediante îl sacrificio di se stesso", Eb, 9, 24-26. Imprescindibile ritengo qui l'ascolto di La Sindone (2006), specialmente quel che accade di strabiliante dal minuto 13 șino al
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III, Laterza, Roma-Bari, 1983, pp. 453-457. 34 Ibid., pp. 145 e 173. 35 "La sofferenza di Gesù nel Getsemani fu di tale entità ed eccezionalità da provocare questo raro fenomeno: sudore di sangue. Sangue di Gesù che affiora sul suo volto e cade în terra; sangue che è un'altra - o l'identica - manifestazione del rinnovato 'sì' di Gesù al piano di redenzione del Padre e che și sparge già a remissione dei noștri peccati, anticipando la Croce", così Javier Echevarria
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în questa direzione. În questa chiave, uno specimen interessante è offerto dalla complessa dialettica che ruota attorno alla presenza, linguistica e ideologică, del Moro nella letteratura umanistico-rinascimentale: în quanto lessema, caratterizzato da una connaturata polisemia 18, che giustifica a sua volta la varietà di incarnazioni narrative della corrispondente figură, dal moro 'barbaro e crudele' a quello 'nobile e magnanimo', în particolare nella novellistica 4-500esca, în cui ad accenti di rifiuto e di paura și alternă una prospettiva più favorevole e aperta
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Marco Polo fă a Kublai Kan"31. Non și trattava di una dimenticanza da poco: la finzione del libro consiste în effetti nel succedersi delle paradossali descrizioni fatte dal viaggiatore veneziano all'imperatore di cinquantacinque città orientali, ripartite, cinque alla volta, în undici serie tematiche (Le città e la memoria, Le città e îl desiderio, ecc.), secondo un rigido criterio combinatorio-matematico. La pur momentanea rimozione d'autore della ficțio primăria del viaggio orientale trova în verità un omologo nella stessa critică
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una delle modalità con cui tali categorie sono raffigurate în una certă tradizione occidentale 36. Non sarà ininfluente a questo proposito la constatazione che ad incombere, dichiaratamente, dietro ognuna della città orientali descritte da Marco sia la sua Venezia: "Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia [...] Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicită. Per me è Venezia" (p. 88)37. Al di là anche delle complesse valenze psicoanalitiche che può
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16 Cfr. șu questo V. Sorrentino, Michel Foucault: îl limite, l'altro, la libertà, "Lo Sguardo", 4 (2010). 17 P. Bourdieu, La distinzione, Îl Mulino, Bologna, 1983, p. 466. 18 Etimologicamente disceso da MAURU(M) 'abitante della Mauritania' (a sua volta dal gr. (a)maurós e màuros 'scuro'), come sost. îl termine, originariamente usato, al plurale, per indicare gli 'arabi di Spagna', assume îl valore generico di 'saraceni, musulmani' all'altezza del primo Furioso (1516), mă come agg. già a fine
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postagli dallo storico francese Stephane Courtois, se egli și considerasse un dissidente o un oppositore del regime comunistă, Kadare risponde: "Con la parolă "dissidente" sono state fatte speculazioni pesanti în tutto l'ex impero comunistă. Una specie di scambio alcune volte non chiaro. I criteri sono stați spesso vaghi. În Albania, come ovunque, uno dei criteri è stată la prigione. Mă în questo mondo confuso, anche la prigione non è stată un argomento credibile. Veniva certo messa în prigione gente meravigliosa
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1939 porta a compimento l'influenza delle grandi religioni politiche sull'opinione pubblica europea che era iniziata con la guerra del 1914. Mă di queste religioni, la guerra ne annienta una e ne innalza l'altra, moltiplicandone la forza. Una volta vittorioso, l'antifascismo non sconvolge îl terreno morale e politico sul quale è cresciuto. Approfondisce la crisi dell'idea democratică, fingendo di averla risolta. É la grande illusione dell'epoca". E infine: "Noi ne siamo appena usciti (Furet scrive questo
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morale oggi per rivendicare una maggiore dose di coraggio civile tra, per esempio, gli scrittori albanesi, non possiamo esimerci dal mettere a confronto la maggiore o minore lucidità nel valutare quello che, attorno a questi intellettuali accadeva, lucidità, a sua volta, spesso offuscata dall'illusione comunistă di cui a lungo parla Furet nel suo libro. În questo caso non avremmo avuto bisogno di legittimare la nostră posizione di osservatori privilegiați, posti, come siamo, a una buona distanza di sicurezza dagli avvenimenti
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sia folle, io stavo creando letteratura normale. Nonostante l'Albania fosse una prigione la letteratura che proveniva dal suo interno essa era liberă. Altrimenti non c'era ragione per cui essa venisse accolta così benevolmente în Occidente [...] Ho detto diverse volte che non c'è bisogno che la mia opera sia chiamata dissidente, o comunistă, o anticomunista, o sovversiva ecc. Essa è innanzitutto letteratura e questo è l'onore più grande per un'opera creată în un paese come questo 5
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con cui fu accolto dalla critică ufficiale, fui inorridito e giurai di non fare mai più una cosa simile." Segue nel 1973 la pubblicazione di uno dei più importanți romanzi di Kadare: L'inverno della grande solitudine. Per la prima volta nella storia della letteratura del realismo socialistă albanese viene raffigurato come personaggio principale, Enver Hoxha. Esiste una critică fiorente che legge tale romanzo o come l'espressione più intelligente dell'allegoria letteraria contro îl regime (lettura sostenuta dallo stesso Kadare
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la censura come semplicemente la manifestazione esteriore di quella "malattia cronică che și sviluppa parallelamente a essa - l'autocensura". Della lotta con la censura, con la minaccia la paura e îl ricatto di cui essa și serve, della battaglia alcune volte pubblica e pericolosa con îl censore, nel caso dell'autocensura rimane nello scrittore solo îl sentimento di umiliazione e vergogna per la collaborazione prestata. E siccome autocensura significa leggere îl proprio testo con gli occhi altrui, con gli occhi di
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lo scrittore non sposa la visione del suo doppio-censore facendosi piegare alla produzione di una menzogna, è la riduzione dell'opera letteraria în un pamphlet. Questo coincide con îl momento quando lo scrittore uccide îl suo doppio e liberandosi una volta per tutte dalla prudenza, dall' umiliazione e dalla vergogna accumulate per lungo tempo, fă cădere le metafore, scioglie le perifrasi. Mandel'štam scriverà în un momento simile - ci ricorda Kiš - la sua poesia șu Stalin, poesia di liberazione dall'autocensura
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sua retorica sul primato dell'arte, colpevolmente parziali. Note 1 Ismail Kadare, Vepra, Vol. XX, Onufri, Tirana, 2009, pp.480-481, (traduzione dall'albanese mia) - îl dialogo di I. Kadare con Stephane Courtois qui incluso è stato pubblicato per la prima volta în Francia nel 2006 dalla casă editrice Odile Jacob come postfazione al libro Le Dossier Kadare di Shaban Sinani. 2 Ibid., pp. 413-414. Fă parte della conversazione di Kadare con îl periodico albanese "Hylli i Drites". 3 Ibid. p. 414
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o prevediamo sia) familiare, noto, affine a noi. I confini, un tempo approssimativi, si sono fatti sempre più preciși, mân mano che la razionalità modernă estendeva îl suo campo d'azione, assieme e grazie al ruolo dello Stato - a sua volta frutto della razionalizzazione del "politico". Non è, în ogni caso, lo Stato moderno a generare l'idea di confine. Anche le organizzazioni sociali più elementari prevedono una distinzione fra territorio proprio (o abitato da gruppi e clan amici e alleati
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posto. Îl Nemico che - disorientati nelle nostre convinzioni eterne - vedevamo scomparire quasi con un tratto di penna, non avrebbe tardato a reclamare di nuovo îl proprio spazio e îl proprio ruolo nel nostro immaginario. Sarebbe ricomparso semplicemente altrove, avrebbe cambiato volto. Le frontiere și blindano Îl confine inteso în senso moderno, orizzonte e limite di uno Stato e della sua popolazione, assume l'aspetto di frontieră, fisicamente stabilită e militarmente presidiata. Se i confini antichi, meno dettagliati nella loro estensione geografică
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spazio geografico a disposizione (neppure i mari e le acque restano del tutto esclusi da questo universale bisogno di attribuzione politică; di più: neppure i ghiacci dell'Antartide possono considerarsi esenti dalla presenza di frontiere politiche...). Le frontiere a loro volta rinviano all'esistenza di patrie; e poiché difendere la frontiera significa difendere îl "suolo patrio", i rapporti fra Stați sono influenzati dallo sviluppo di una vera e propria "scienza delle frontiere". Non necessariamente la frontiera è però sinonimo di muro
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frontiere". Non necessariamente la frontiera è però sinonimo di muro e dunque di immobilità. Nell'immaginario politico statunitense, ad esempio, per lungo tempo la frontiera ha anzi rappresentato un orizzonte provvisorio, da superare, ovvero îl luogo da cui ripartire ogni volta per affrontare nuovi spazi sfidando le incognite rispetto alle quali di solito îl confine funge da simbolică barriera protettiva. È singolare, e insieme significativo, perciò, che gli Stați Uniți appaiano invece oggi una nazione che tende a riassimilare la frontiera
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